LO SPAZIO (RIPUDIATO) (Atto secondo – quadro secondo)

Ho spento lo spazio.
I bordi dell’orizzonte, lungi dal segnalare
acqua e nuvole pigre,
mi rendono immagini
incongrue e ferocemente familiari
di autogrill al tramonto,
corsie d’autostrada in albe molli e tenui,
scie di sogni verso la certezza dell’altrove.
Schermati da lenti scure, vanità.

La pietra nella mano, arsa di sabbia
infuocata
svelle il pensiero del “non frega”,
e volgersi in fronte a muri antichi
non compensa l’immaginario.

Alza gli occhi, Robinson,
lo spazio dal ricordo rimbalza qui,
al perimetro della gabbia d’aria.
M’accorgo che non serve,
non è mai valso
una sola particella infima
di volti, date, lacrime.

Lo spazio s’è sperso da se stesso,
la sua ricapitolazione
conferma l’inutile vanità
del suo stesso esistere.
Robin, resta nel tempo,
aggrappatici,
ignorando invece
il fondale in fronte al quale
hai la ventura di muoverti.